Apr 14, 2008
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Chi sono i rocker italiani

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Chi sono i rocker italiani e perché non parlano male di nessuno? Il nuovo singolo (e disco) di Vasco Rossi s’intitola Il mondo che vorrei, l’ultimo inedito di Ligabue Buonanotte all’Italia. Entrambi, una volta di più, sono ai vertici delle classifiche di vendita.

Né Vasco né Ligabue gradiscono che li si metta a confronto, ma è sintomatico come entrambi, nell’anno in cui il potere italiano pare ai minimi livelli di credibilità e quindi più criticabile, abbiano scritto due canzoni di denuncia solo nelle intenzioni. «Ed è sempre quello che non si farebbe che farei», canta Vasco, sempre più impigliato nella filastrocca ripetitivo-snervante, «quando dico che non è così / il mondo che vorrei». Con chi ce l’ha, con chi se la prende? Non si sa, non si capisce. Guai a fare nomi e cognomi, guai ad andare oltre l’anafora allusiva e il rimpianto per il bel tempo che fu. La poetica di Vasco è così: da una parte lui, il sognatore contro tutto e contro tutti, dall’altra il mondo reazionario («Non si può fare quello che si vuole / non si può spingere solo l’acceleratore / guarda un po’ ci si deve accontentare / qui si può solo perdere / e alla fine non si perde neanche più»). L’approccio di Vasco, chioserebbero i politologi, è qualunquista. In apparenza ribelle, nei fatti attentissimo a non ferire: nient’altro che la reiterazione del «piove governo ladro». Eppure il rock sarebbe la musica del diavolo, o anche solo della protesta. Eppure, oltre allo «scuoti e vibra» (neanche tanto, ultimamente), ci dovrebbe essere anche una spiccata capacità urticante. Non è forse vero che i sessantenni Rolling Stones, di recente, le hanno suonate a Bush?

In Italia, al contrario, il rock è nostalgico-disinnescato. Non si arrabbia più nessuno. I cantautori sono troppo presi dal patetismo della terza età (l’ultimo ad arrabbiarsi, due anni fa, è stato Fossati con Cara democrazia). Lontani i tempi de L’avvelenata, di Io se fossi Dio. Ad alzare la voce è giusto qualche contestatore isolato (Caparezza) o i rapper tipo Mondo Marcio, che per loro stessa ammissione veicolano gli strali in direzione del proprio ombelico.

Ne nasce un mare magnum di (vendutissimo) conformismo. Di note educate, spartiti edulcorati, rimari poco coraggiosi. È anche il caso di Ligabue, che pure a settembre aveva partecipato con un video al V-Day, definendo Beppe Grillo «un guastatore necessario». Ligabue, esegeta del «non è tempo per noi», non è mai stato un pasdaran. Buonanotte all’Italia vorrebbe essere un vibrante de profundis, ma neppure qui si va oltre l’allusione: «Buonanotte all’Italia deve un po’ riposare / tanto a fare la guardia c’è un bel pezzo di mare / c’è il muschio ingiallito dentro questo presepio / che non viene cambiato, che non viene smontato / e zanzare e vampiri che la succhiano lì / se lo pompano in pancia un bel sangue così». Chi sono i vampiri? Chi ha ingiallito il muschio? Ligabue si guarda bene dal dirlo, come se il «tengo famiglia» fosse una pregiudiziale invalidante. E il potenziale j’accuse, fatalmente e deliberatamente, s’annacqua.

Mai come oggi, riprendendo Fabrizio De André, sarebbe auspicabile che le lingue dei cantori, siano essi rocker o burattinai di parole, «battessero i tamburi». E invece nessuno si schiera fino in fondo, tutto vira al mugugno. Ugole disinnescate, rocker politicamente corretti: perfetti per il veltrusconismo. Chissà che il loro successo, perdurante e innegabile, non derivi proprio da questo saper interpretare «al meglio» l’atavica inclinazione borbottante-qualunquista dell’italiano medio.

Fonte: www.lastampa.it

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